In uniforme da Vice Comandante Generale dell'Arma, Alfredo Arnera.Buon conoscitore della realtà somala, quasi al termine della sua relazione Arnera notava che:

«Purtroppo gli esponenti del Governo (somalo, N.d.A.), accecati solo dalla faziosità politica e dal sentimento tribale, non si sono peritati di inferire un grave colpo alla compattezza morale degli ufficiali somali pretendendo, contro la decisa opposizione dello scrivente, ma con l'acquiescente tolleranza dell'Ambasciatore Di Stefano (l'Amministratore che aveva sostituito Anzilotti, N.d.A.), che in occasione del passaggio del Comando delle Forze di Polizia ad un ufficiale superiore somalo, promosso nella circostanza al grado di tenente colonnello, venisse contemporaneamente promosso allo stesso grado altro ufficiale superiore somalo appartenente a gruppo etnico diverso e di posizione politica opposta al gruppo etnico del nuovo comandante. L'ufficiale promosso "in antagonismo" a quest'ultimo è di per se stesso imparziale ed apolitico e non ha affatto gradito la promozione né la situazione imbarazzante in cui - contro la sua volontà - è stato posto (...). Tuttavia tale grave scossa ad ogni più elementare principio disciplinare, inserendo nelle Forze di Polizia il concetto della suddivisione cabilare, potrebbe avere le sue nefaste conseguenze, ma ciò non hanno voluto intendere i Ministri somali, nonostante l'opera di persuasione svolta nei loro confronti dallo scrivente».

Leggere la relazione di Arnera dopo quasi mezzo secolo fa apprezzare la sensibilità e la profonda conoscenza della situazione italiana e somala che l'ufficiale aveva maturato, così come Caprini, Manera, Craveri, anni prima, avevano compreso le realtà nelle quali operavano, confortati dalla grande esperienza professionale e da una cultura e una sensibilità personale non comuni.
Motivi indubbiamente politici furono alla base delle decisioni dell'Amministratore: in realtà si voleva conferire al Governo somalo la completa responsabilità dell'ordine pubblico e della sicurezza, mentre erano già iniziate le manovre di disimpegno economico e politico dal Corno d'Africa: gli stanziamenti richiesti dalla stessa Afis al Governo italiano non vennero concessi e i funzionari presenti in Somalia si andavano progressivamente riducendo.
L'Italia stava cambiando radicalmente i suoi interessi in politica estera e un carico così pesante in termini finanziari e umani interessava ormai solamente un numero ristretto di operatori politici ed economici. Anche la politica fiscale che aveva organizzato per rendere autonoma la gestione finanziaria dell'Afis non dava i risultati sperati, anzi a volte le misure fiscali applicate erano controproducenti. Rimanevano solo le ditte che operavano in Somalia a chiedere incentivi di vario tipo, non sempre però a favore dell'economia locale, non rendendosi conto che ormai il Governo italiano stava smobilitando, dichiaratamente per conseguito obbiettivo e termine del periodo stabilito.
La forza dei Carabinieri presente al momento della cessione del Comando, il 14 dicembre 1958, era di 7 ufficiali, 24 sottufficiali, 20 militari di truppa: in tutto 51 unità, un gruppo veramente esiguo. Già nella seconda metà dell'anno, comunque, i Carabinieri, in obbedienza a quanto disposto dal decreto amministratoriale del 16 luglio, svolgevano esclusivamente compiti di assistenza tecnica a favore delle Forze di Polizia.
Pur con la completa "somalizzazione" anche della Polizia, un'aliquota di personale militare italiano doveva in ogni caso restare per continuare a prestare tale assistenza. Come prima transitoria disposizione, lo stesso 16 luglio 1958 la Compagnia Comando Carabinieri delle Forze di Polizia fu trasformata in Compagnia Autonoma Carabinieri Italiani in Somalia, che tra l'altro avrebbe avuto competenza ad amministrare il restante personale militare impiegato in Somalia: un primo passo per la costituzione di una missione militare di assistenza tecnica alle Forze di Polizia somala.
La Compagnia era composta da un comandante, 7 ufficiali, 27 sottufficiali e 26 carabinieri. Si sarebbe poi giunti a concretizzare tale missione, riprendendo in qualche modo la tipologia delle precedenti in territorio estero, istituite per aiutare polizie civili locali, compito che i Carabinieri conoscevano molto bene, per aver dato in numerosi casi il proprio apporto professionale.

Un agente a cavallo del corpo di polizia della Somalia, in tenuta per i servizi all'interno della residenza. Armamento: moschetto 91 da cavalleria. 
Il 30 giugno 1960, con la scadenza del Mandato Fiduciario italiano, la Compagnia Autonoma Carabinieri Italiani in Somalia venne sciolta. Nell'aprile del 1961 il Governo italiano stipulò con quello somalo un accordo per la cooperazione tecnica: rimasero in Somalia un ufficiale e 9 tra sottufficiali e carabinieri, destinati al Nucleo assistenza alle Forze di Polizia della Somalia, incorporati nella Missione Tecnica Italiana.
Al termine della missione un Encomio solenne venne tributato dall'Amministratore, Comandante delle Forze Armate in Somalia, all'Arma dei Carabinieri in occasione del 144° Annuale della fondazione:

«Chiamata ancora una volta in terra somala, nel quadro del mandato fiduciario affidato all'Italia dalle Nazioni Unite, l'Arma dei Carabinieri - superando non lievi difficoltà climatiche, tecniche e logistiche - provvedeva fin dal primo momento, a garantire in tutto il Territorio l'ordine e la sicurezza indispensabili per l'attuazione dei piani rivolti alla creazione di uno stato indipendente. Nell'assolvimento di tale compito dava innumerevoli prove di abnegazione e di dedizione al dovere offrendo anche in olocausto la vita di alcuni dei suoi uomini più valorosi.
Provvedeva inoltre - in otto anni di appassionata, capace, solerte e feconda attività didattico-addestrativa - alla costituzione di una efficientissima organizzazione di Polizia - in cui venivano successivamente incorporate tutte le Forze dell'esercito del territorio - e sapeva trasfondere nel personale somalo quelle eccezionali e peculiari doti di saldezza morale, di spirito di sacrificio e di attaccamento al dovere che costituiscono il suo ultrasecolare fulgido retaggio.
L'opera dei Carabinieri, inspirata al più generoso e disinteressato altruismo ed ai più nobili ed elevati ideali, lascia in terra d'Africa sempre più profonde ed indelebili tracce di civismo, di onor militare e di fedeltà alla Patria e suscita ognora la riconoscente ammirazione delle popolazioni e l'incondizionato plauso delle Autorità italiane, estere e somale.

Somalia 1° aprile 1950 - 5 giugno 1958».


Le parole sono certamente viziate da una retorica dei tempi, residuo ancora di un passato non troppo lontano. Ma il riconoscimento degli italiani di Somalia, di una gran parte dei somali e delle autorità delle Nazioni Unite per l'opera dei Carabinieri era concreto.
Interessante anche la motivazione della proposta di avanzamento per meriti eccezionali a favore del tenente colonnello Ripa di Meana:

«In quasi sei anni di sua permanenza in una Somalia sottoposta a regime amministratoriale fiduciario dette prova di eminenti qualità e di spiccata capacità organizzativa, prima potenziando e portando ad alto grado di efficienza il Gruppo Territoriale Carabinieri e il Corpo di Polizia che ne faceva parte, poi studiando - su incarico dell'Afis - il piano per l'assorbimento delle truppe somale del Corpo di Sicurezza, che vennero poi incorporate nelle Forze di Polizia Unificate. Di queste il 1° gennaio 1956, conformemente alle predisposizioni amministratoriali, attuò la fusione ed assunse il Comando, dando al nuovo organismo, forte di oltre 3.700 uomini, un'impostazione tecnica e morale superiore ad ogni aspettativa, che si impose all'ammirazione degli organi responsabili. Ufficiale di alto prestigio, dette in ogni circostanza prova del suo forte carattere, della sua piena maturità professionale, della sua inesausta fede e passione, del suo ammirevole fervore operativo, rendendo al Paese eccezionali servizi che concorsero a rafforzare il prestigio dell'Italia di fronte al mondo in terra già nostra.

Somalia luglio 1952 - giugno 1956».


Le situazioni storiche di quel momento nella politica italiana non furono propizie alla concessione dell'avanzamento per meriti eccezionali, lasciando alla normale valutazione il servizio svolto dal Ripa di Meana e da tutti gli altri militari dell'Arma in Somalia. La storia avrebbe dato il giusto riconoscimento all'opera svolta dai Carabinieri, quando importanti e imparziali valutazioni in sede internazionale fecero riconoscere la professionalità con la quale la Polizia somala era stata preparata, prima dell'indipendenza e successivamente, con l'ausilio dell'assistenza tecnica italiana.