I disagi del clima erano forti e la vita non era certo facile: la zona intorno al campo era desertica, e la malaria presente. Molti militari, durante il periodo più caldo, furono colpiti da forti febbri. I più gravi venivano inviati all'ospedale italiano del Cairo. Un numero non indifferente di uomini dovette essere sostituito. Un militare decedette sul posto e altri due dopo il rientro in patria. Il tenente Faedda, nella sua relazione sui fatti di Palestina, relativamente alla situazione climatica e alle condizioni di vita, riferiva:

«Tutta la zona circostante all'accampamento era infatti desertica e fortemente malarica per la vicinanza del Wadi Sarhar, lago di acqua stagnante che, specie nel periodo estivo, era il focolaio di malattie infettive. Durante i forti calori moltissimi militari furono colpiti da perniciosa malarica e costretti a giacere per lungo tempo nell'infermeria del campo. L'esodo dei malarici durò per tutto il tempo della permanenza nel deserto. Molti carabinieri venivano rimpatriati e sostituiti con altri elementi (...) il clima della Palestina oltre che malarico è insidioso perché ha le giornate caldissime e le notti umide e fredde. Anche tali sbalzi di temperatura influirono sulla salute dei nostri militari. A ciò si aggiunga la scarsità di acqua che veniva prelevata in quantità insufficiente dai pochi depositi espressamente allestiti dagli inglesi e dai rari pozzi di acqua piovana disinfettati con la creolina».

Il generale inglese Edmund Henry Allenby, passa in rassegna un reparto di Carabinieri distaccati in Palestina.Dopo l'armistizio con la Turchia (1918), il Corpo di Spedizione fu riunito a Giaffa. Intanto il tenente colonnello Francesco D'Agostino era stato sostituito nel comando del Corpo dal tenente colonnello degli Alpini Gustavo Pesenti, che migliorò sensibilmente le relazioni del Corpo stesso, precedentemente buone ma non ottimali, con il Comando inglese. A Giaffa i carabinieri furono notati per l'immagine che davano di correttezza e di presenza: in una visita fatta al Distaccamento dalle autorità militari inglesi, i carabinieri a cavallo prestarono servizi d'onore e vennero passati in rivista dallo stesso Allenby, mentre pattuglie, sempre a cavallo, perlustravano come ogni giorno le vie principali della città, destando nella popolazione sensi di ammirazione e di rispetto. Sempre il tenente Faedda così illustrava l'entrata delle truppe a Gerusalemme, liberata dai turchi:

«Il Generale Allenby entrò in Gerusalemme alle ore 12 dell'11 dicembre 1917. Era preceduto da due aiutanti di campo ed aveva da un lato il comandante del nostro distaccamento Tenente Colonnello D'Agostino e dall'altra il comandante del contingente francese. Seguivano gli aiutanti maggiori e gli addetti militari, nonché molti ufficiali dello S.M. inglese. Alla porta di Giaffa era schierata la Guardia d'Onore, composta da truppe inglesi, scozzesi, irlandesi, australiane, indiane, neo-zelandesi, francesi. Prestava servizio d'onore anche il nucleo dei carabinieri al comando del tenente Zorzoli».


Militari dell'Arma in servizio al consolato italiano in Palestina. In primo piano: il Regio console tra il capitano Giuseppe Micheletta Tità e il tenente Alberto Faedda.Vicino all'accampamento fu allestito un campo ad ostacoli e furono organizzate delle gare con i colleghi militari inglesi: gli italiani si distinsero ancora una volta anche per la loro preparazione nei concorsi ippici. Riuscirono ad aggiudicarsi numerosi premi e ad affermarsi per il loro modo di cavalcare, in un contesto inglese estremamente raffinato e sempre molto critico nei confronti del mondo ippico degli altri europei.
Come era già accaduto in altre missioni, i militari dell'Arma ebbero modo di farsi notare, oltre che per il loro servizio d'istituto, anche in occasione di riviste militari, alle quali prendevano parte suscitando la simpatia della popolazione. Il presidio inglese non fu avaro di lodi nei confronti degli italiani. Speciali rapporti cordiali furono tenuti con le autorità religiose, e in particolare con il Patriarca latino, monsignor Balrassim.

La missione dell'Arma in Palestina, secondo il pittore Ireno Janni.Quando, alla fine del primo conflitto mondiale, i trattati internazionali consegnarono all'Inghilterra il mandato sulla Palestina, la presenza di truppe straniere non aveva più alcun senso, e infatti tutti i militari stranieri furono rimpatriati, compresi i carabinieri. Gli italiani lasciarono Gerusalemme e la Palestina: le dimostrazioni di affetto e gli onori resi testimoniarono di come il servizio fosse stato svolto, con quella professionalità severa e quell'attenta preparazione che ha contraddistinto sempre la presenza dei militari dell'Arma, anche fuori dal suolo della madrepatria.
Così Faedda, descriveva gli onori resi:

«Il giorno della partenza i carabinieri, preceduti dalla banda militare inglese, attraversarono la via principale di Gerusalemme per recarsi alla stazione. Tutti gli ufficiali del Presidio, compreso il Comandante Generale Smith, accompagnarono il distaccamento al luogo di partenza. Seguivano migliaia di cittadini, nonostante la giornata rigida per l'abbondante neve caduta.Gerusalemme, 10 marzo 1921: il governatore inglese della Palestina, Sir Herbert Samuel, saluta i Carabinieri al momento del loro rientro in  patria.
 Fu una manifestazione veramente indimenticabile. Al momento in cui il treno si mise in moto, la banda inglese intonò la marcia reale e tutta la gente che gremiva la stazione tributò un ultimo fervente saluto ai nostri militari. Molti cittadini, e più specialmente i nostri religiosi, erano visibilmente commossi».


I carabinieri sarebbero tornati in Palestina 73 anni più tardi, nell'ambito di una missione internazionale di pace dell'Onu, con la TIPH (Temporary International Presence in Hebron), per la protezione dei civili palestinesi (volume II). Sono tuttora presenti in quelle terre.