1904 - 1911. In Macedonia: una Gendarmeria da riorganizzare.

Approfondimenti
Premessa

Un gruppo di ufficiali italiani addetti alla organizzazione della Gendarmeria macedone.Con gli accordi presi durante il Congresso di Berlino del 1878, le potenze europee ritenevano di aver chiuso la «questione d'Oriente» dando un assetto politico, considerato definitivo, ai territori balcanici. In realtà nulla era stato risolto. Nel 1902 in Macedonia si verificò l'ennesima insurrezione antiturca, di quelle che continuavano a minare alla base l'Impero Ottomano: questa si estese rapidamente, nell'anno successivo, all'Albania. Così come era stato fatto in precedenza, Austria-Ungheria e Russia continuarono a sostenere la Sublime Porta, cercando di evitare la dissoluzione finale del secolare Impero prima di averne deciso l'assegnazione definitiva delle spoglie.
La missione degli ufficiali italiani, e in particolare quella dei Carabinieri Reali, iniziò appunto in seguito all'Accordo di Murzsteg (2-3 ottobre 1903) tra Impero Ottomano da una parte e Austria-Ungheria e Russia dall'altra. In quel testo erano previste delle riforme che il Sultano avrebbe dovuto attuare per evitare il completo collasso dell'Impero. Il riordinamento della Gendarmeria macedone, una delle cause del sollevamento in Macedonia, così come era accaduto a Creta, s'imponeva anche per pacificare quel territorio dopo l'insurrezione contro Costantinopoli del 1902, che aveva appunto riaperto la lunga e difficile «questione d'Oriente».
Sulle responsabilità della gendarmeria, a causa delle malversazioni cui sottoponeva la popolazione, non vi è alcun dubbio. Tra le tante testimonianze d'epoca, interessante e sintetica quella del colonnello Enrico Lorenzo Albera, Addetto Militare Aggiunto con sede a Monastir, il quale in una sua lettera del giugno 1904, scriveva:

«La gendarmeria attuale è un ammasso di indisciplina, di immoralità e di miseria. Ufficiali e truppa hanno vissuto fino a pochi mesi or sono di rapine, estorsioni e mancie. Non esistono caserme, non si sa cosa sia casermaggio, equipaggiamento, amministrazione e servizio (...). Nulla o poco è registrato, né si conosce il passato di ognuno, né la provenienza».

Questa situazione era ampiamente nota in Europa: l'Impero Ottomano aveva dovuto accettare di avvalersi della professionalità di sessanta ufficiali stranieri, con emolumenti notevoli da pagarsi a carico delle esauste e vuote casse di Costantinopoli. Il Governo turco ottenne che in una fase iniziale gli ufficiali stranieri fossero solo venticinque: nel corso del tempo la Sublime Porta cercò di non arrivare mai alla cifra prevista a regime, perché l'esborso per il Tesoro risultava troppo consistente. La riforma della Gendarmeria macedone si sarebbe rivelata un compito alquanto arduo.

1904-1911 In Macedonia: una Gendarmeria da riorganizzare.

La giubba e il fez appartenuti al tenente Cosma Manera, uno degli ufficiali dei Carabinieri prescelti per la missione in Macedonia.Gli ufficiali italiani, in particolare quelli dell'Arma dei Carabinieri, iniziavano ad avere fama come riorganizzatori e istruttori di gendarmerie: il lavoro che stavano svolgendo a Creta era ben noto nelle capitali europee e nella stessa Costantinopoli. Inoltre l'Italia aveva certamente un notevole interesse a trovare una sua dimensione nei Balcani: il Ministro degli Affari Esteri Tommaso Tittoni, nel quadro dell'Accordo di Murzsteg, ottenne che fossero chiamati dei militari italiani e che a capo della Missione di riorganizzazione della Gendarmeria macedone fosse nominato un generale italiano. Così, aderendo tra l'altro alle stesse richieste dell'Impero Ottomano circa la nazionalità della massima autorità di Gendarmeria, il 1° gennaio 1904 ne aveva assunto il comando il tenente generale Emilio De Giorgis, fino allora comandante la Divisione di Cagliari, con il titolo ufficiale di Lieutenant Général Réorganisateur (Luogotenente Generale Riorganizzatore). Alla sua morte, nel novembre del 1908, sarebbe stato sostituito dal generale Mario Nicolis di Robilant. Alle dirette dipendenze del De Giorgis, il 2 gennaio 1904, fu messo un ufficiale dell'Arma, il capitano Balduino Caprini, che fino a quel momento era stato in servizio a Creta e che occorreva avvicendare nel comando.
Il giorno 8 aprile furono selezionati nell'Arma, per quella missione all'estero, i capitani Federico Craveri, Carlo Cicognani, Rodolfo Ridolfi e i tenenti Ettore Lodi e Giovanni Battista Basso; il 23 aprile il tenente Giuseppe Luzi. Era stato precedentememente selezionato anche il capitano Egidio Garrone. Essi furono messi a disposizione del Ministero degli Affari Esteri e autorizzati ad essere impiegati nella Gendarmeria macedone: una configurazione giuridica del servizio diversa da quello che era stato fatto per la missione a Creta. Infatti dal punto di vista finanziario questi uomini non gravavano in alcun modo sul bilancio italiano, in quanto pagati integralmente dal Governo turco, tramite la Banca Ottomana: stipendi e spese di viaggio erano a carico dei turchi, così come le divise e i cavalli. Gli ufficiali sarebbero stati esonerati dal pagare i forti diritti doganali previsti per portare con sé gli effetti personali, il proprio armamento e i fucili da caccia: era impensabile che un gentiluomo, per di più militare, potesse separarsi dalle sue armi per la caccia!
Non fu facile trovare gli elementi adatti per quella missione, anche per le condizioni non proprio favorevoli fatte dal Governo italiano a coloro che decidevano di candidarvisi. I requisiti che i prescelti dovevano soddisfare erano molti e non sempre semplici: innanzi tutto che fossero celibi e senza prole. Dovevano poi conoscere bene almeno il francese, lingua correntemente parlata dai turchi, e impegnarsi a rimanere in Macedonia per un periodo non inferiore ai tre anni. In quel lasso di tempo sarebbero stati considerati fuori ruolo, a disposizione del Ministero della Difesa. Inoltre, poiché, come abbiamo detto, il loro stipendio sarebbe stato corrisposto dal Governo macedone, gli ufficiali, in proprio, avrebbero dovuto obbligatoriamente versare al Tesoro italiano la cifra corrispondente alle ritenute previdenziali, calcolate sullo stipendio che avrebbero ricevuto in Italia, per «non rinunciare alla possibilità che il tempo trascorso in Macedonia venga considerato poi come utile per la liquidazione della pensione di riposo». Ma se la Corte dei Conti non avesse approvato il riconoscimento di quel servizio come utile per la pensione, gli ufficiali non avrebbero avuto diritto ad alcun indennizzo o compenso. Né avrebbero potuto fare alcuna rivendicazione nei confronti del Governo italiano qualora il Governo ottomano avesse deciso di mettere fine anzitempo al loro impiego in quel territorio.
Anche se finanziariamente poteva sembrare che il servizio al soldo dei turchi potesse convenire, in realtà erano numerosi i vincoli e le difficoltà, tecniche e politiche, da superare per restare in Macedonia. Tra le varie clausole ve ne erano alcune molto dure: la terza condizione imponeva, ad esempio, che

«l'ufficiale, assumendo servizio nella Gendarmeria macedone, si assoggetta volontariamente alle leggi e ai regolamenti con cui sono rette quelle truppe. La sua condotta tuttavia, anche durante la permanenza in Macedonia, continua ad essere soggetta al controllo del Governo italiano e potrà eventualmente essere giudicata secondo le leggi e i regolamenti italiani, previo richiamo in Italia».

La seconda era ancora più dura:

«L'ufficiale, durante il suo servizio in Macedonia, non avrà diritto ad alcuna competenza dal Governo italiano, e le infermità, le ferite o la morte incontrate durante la di lui permanenza colà, o per effetto di essa, non potranno mai essere considerate come incontrate in servizio o per causa di servizio».