Page 3 - Il Forestale n. 42
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EDITORIALE




          Il killer degli orsi

          B       envenuti nel Far west. Farsi giustizia da soli sembra diventato normale in alcuni settori, per
                  fortuna minoritari, della popolazione rurale che vogliono difendere il proprio orto o le
                  proprie pecore contro chissà quali predatori, chissà quali mostri. È una guerra crudele e
                  inutile oltre che illegale: siccome le greggi sono minacciate da cani rinselvatichiti e volpi,
                  perché non difendersi mettendo un boccone avvelenato?
          Pazienza se è illegale e si rischia una strage indiscriminata della fauna selvatica. Non ci hanno rimesso
          la pelle solo gli orsi nel recente caso verificatosi nel parco nazionale d’Abruzzo, ma anche due lupi.
          E se allarghiamo lo sguardo al resto d’Italia vediamo che sono tanti gli animali rari e protetti a
          morire a causa delle esche avvelenate.
          Perfino due coppie di aquile reali sono morte a settembre, nel Gennargentu, molto probabilmente
          per essersi nutrite della carcassa di un cane vittima di queste armi letali.
          La mentalità di questi assassini è la stessa degli assassini dei boschi, gli incendiari.
          Si tratta di persone che vivono in ambienti rurali degradati e che vedono lo Stato come un’entità
          aliena, che li trascura o addirittura li ha abbandonati, con il quale è inutile dialogare. Per i danni
          causati dai lupi esistono gli indennizzi concessi da regioni ed enti parco, ma spesso arrivano in ritardo.
          Perché aspettare?
          Non si rendono conto questi criminali che il patrimonio naturalistico che perdiamo non potrà esse-
          re rimpiazzato. Se di orsi bruni marsicani ne abbiamo 40 in tutto, perderne quattro com’è successo a
          settembre significa dire addio al 10 per cento della popolazione.
          Sta meglio numericamente il lupo, ma se si arriva all’estinzione di una popolazione si mette comunque
          in crisi l’equilibrio biologico di una determinata area e ci vorranno anni perché il danno si riesca a
          sanare.
          Le indagini della Forestale sono preziose in questi casi per assicurare i colpevoli alla giustizia, ma è
          evidente che occorre ricostruire un tessuto sociale, aumentare la partecipazione e la responsabiliz-
          zazione di tutti i soggetti che vivono nelle aree protette.
          A qualcuno sembra, ad esempio, che l’educazione ambientale sia ormai superflua, che esista una
          coscienza diffusa nel Paese a riguardo. Ma l’Italia è fatta di ottomila comuni, non solo di Roma e
          Milano e il lavoro che attende il Corpo forestale dello Stato anche su questo fronte è tanto.
          Gli allevatori devono essere, insieme agli agricoltori e ai cacciatori, agli ambientalisti e ai raccoglitori
          dei prodotti della terra, le nostre “sentinelle”. Dove non arrivano gli uomini della Forestale, troviamo
          loro: persone che vivono sul territorio e che possono segnalarci incendi e reati ambientali di ogni
          tipo.

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